“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mediante il Servizio sanitario nazionale. La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana.
Il servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio”.
Comincia così l’articolo 1 della legge 883 che 45 anni fa istituì il Servizio sanitario nazionale.
Era il 23 dicembre 1978 e il ministro della Sanità era Tina Anselmi, una delle figure politiche femminili più rappresentative del dopoguerra.
Sono poi arrivati la Riforma De Lorenzo-Garavaglia del 1992-93, che ne ha sancito l’aziendalizzazione e legato il suo sovvenzionamento alla legge finanziaria, e la riforma Bindi del 1999.
Nel 2001 la riforma del titolo V della Costituzione conferisce una competenza concorrente alle Regioni nell’organizzazione degli interventi a tutela della salute entro i vincoli dei principi fondamentali del Ssn stabiliti dallo Stato e segna la fine dell’epoca delle grandi riforme organiche della sanità a livello nazionale.
Oggi però avremmo bisogno proprio di questo, di una grande riforma, i bisogni di salute sono completamente diversi dal passato, le tecnologie hanno subito un balzo in avanti, per non parlare dell’architettura degli ospedali e della loro organizzazione.
Il punto dolente
Manca una visione strategica, ma bisognerebbe mettere assieme soggetti che corrono su binari diversi
Nuovi cambiamenti radicali sono dietro l’angolo, basti pensare a come l’intelligenza artificiale potrà trasformare il modo di pensare e fare la medicina, con ricadute molteplici e complesse che bisognerà anche imparare ad affrontare (se ci affidiamo all’IA e la scelta risulta sbagliata di chi è la responsabilità, del professionista o dell’algoritmo di IA?). A ciò si aggiunga che negli anni, sebbene il Ssn abbia svolto egregiamente il suo compito, molte sono state le criticità emerse, ci limitiamo a citarne alcune:
1) la disuniformità sul territorio nazionale dei livelli di assistenza sanitaria e di spesa;
2) la mancata integrazione ospedale-territorio con la compartimentazione del sistema e discontinuità assistenziali;
3) le difficoltà a gestire una popolazione sempre più anziana, portatrice di cronicità;
4) l’appropriatezza delle prestazioni, spesso deficitaria;
5) la scarsità di investimenti in prevenzione;
6) la necessità, ora offerta dal Pnrr, di miglioramento tecnologico e digitalizzazione.
I tre miliardi di finanziamento stanziati in questi giorni per il Fondo sanitario nazionale sono un buon segnale ma non possono certo fare fronte alle reali necessità di un sistema che da decenni è sottofinanziato, sia che lo si consideri in rapporto al PIL, sia se si considera la spesa pro-capite.
I numeri parlano da soli: nel 2022 sono stati spesi dagli italiani 41.503 milioni di euro di tasca propria per la salute (direttamente o attraverso assicurazioni, fondi e altro) su un totale di tutta la spesa sanitaria di 171.867 milioni; in altre parole, la spesa privata ammonta ormai a quasi un quarto della spesa sanitaria nazionale. Possiamo immaginare razionalizzazioni ed efficientamenti ma è evidente che il sistema così non può farcela. Le lunghe liste di attesa o i Pronto Soccorso intasati di pazienti non sono che le manifestazioni più evidenti di una istituzione che da anni presenta molte crepe, spesso coperte dalla buona volontà e dallo spirito di responsabilità dei professionisti, come ci ha ben fatto vedere la pandemia.
Come continuare a garantire l’eguaglianza dei cittadini davanti alla malattia? I problemi sono molteplici: dal 2024 il Ministero ha deciso un taglio trasversale dei rimborsi per le prestazioni sanitarie che in alcuni casi sono molto importanti, chi farà quelle prestazioni? Chi investirà nelle tecnologie necessarie a erogarle, come l’acquisto di un nuovo acceleratore lineare per la radioterapia?
I rimborsi per i ricoveri, i cosiddetti DRG, hanno riconoscimenti vecchi di decenni che non rispecchiano più la realtà, ma come adeguarli in questo contesto?
La crisi infermieristica, ancor più di quella medica, è semplicemente drammatica e difficilmente troverà soluzione senza cambiamenti radicali delle politiche di reclutamento.
Il vero punto è la totale assenza di programmazione e di una visione strategica ma per svilupparla bisognerebbe mettere assieme soggetti che oggi corrono su binari diversi: i sanitari con la loro conoscenza clinico-assistenziale ma anche con i loro corporativismi, gli economisti sanitari, indispensabili per una corretta programmazione ma spesso lontani dalla realtà delle corsie ospedaliere, i rappresentanti delle associazioni di pazienti, che vivono in prima persona i problemi dell’assistenza, e la politica che ha sempre visto la sanità come un territorio di conquista di voti e potere.
Per riuscire a salvare il nostro Ssn e non abbandonarlo a una deriva senza futuro bisogna agire subito, mettendo a fattore comune le energie positive che il Paese sa esprimere nei momenti difficili, coinvolgendo questi attori e lanciando un grande progetto, così come fu fatto 45 anni fa.
Foto di National Library of Medicine