Torna di attualità il tema dei costi del fumo in questi giorni in cui si discute su come sia possibile reperire i fondi aggiuntivi necessari per sostenere il finanziamento del nostro Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e garantire i valori di tutela della salute e di universalità delle cure sancite dalla nostra Costituzione. Si parla dei costi sanitari e sociali ma anche dei costi veri e propri dei pacchetti di sigarette. Secondo la Banca Mondiale, la più importante strategia da adottare in un programma governativo di controllo del tabagismo riguarda, infatti, gli aumenti del prezzo, tramite aumenti della tassazione, sulle sigarette e sugli altri prodotti di tabacco. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), con la sua «Convenzione Quadro sul Controllo del Tabagismo», raccomanda l’aumento della tassazione o dei prezzi per ridurre la domanda di tabacco.
Bronchite e tumori
Sono passati molti anni da quel lontano 11 gennaio 1964 quando veniva reso pubblico il primo rapporto sulla nocività del fumo, preparato dal «Surgeon General’s Advisory Committee on Smoking and Health» americano: per la prima volta si affermava chiaramente che il fumo causa tumori polmonari e che è la più importante causa al mondo di bronchite cronica. Da allora abbiamo scoperto molti altri effetti negativi del tabagismo, ma le multinazionali del tabacco continuano a fare affari e nessun governo al mondo ne ha mia vietato la commercializzazione. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha stabilito che vi è una chiara evidenza che l’aumento delle accise sulle sigarette (e altri tabacchi) porti ad una riduzione del loro consumo, della prevalenza di fumatori e dell’iniziazione al fumo nei giovani, un aumento della cessazione e del gettito fiscale, e un miglioramento della salute della popolazione
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Due miliardi in più
Silvano Gallus, responsabile del Laboratorio di Epidemiologia degli stili di vita dell’Istituto Mario Negri, ha stimato gli effetti che avrebbe nel nostro Paese l’incremento dell’accisa di un euro a pacchetto, ovvero un aumento del prezzo alla vendita di 1,39 € (da 5,00 € a 6,39 €). In un anno, farebbe vendere 360 milioni di pacchetti in meno (cioè più di 7 miliardi di sigarette in meno) e farebbe aumentare gli introiti per lo Stato di 2,2 miliardi di euro in più (malgrado la diminuzione delle vendite). Se queste entrate fossero poi destinate al SSN, e non come oggi avviene alle voci di spesa più disparate, probabilmente anche il consenso da parte dell’opinione pubblica, e degli stessi fumatori, sarebbe molto maggiore. Non si tratta quindi di adottare politiche da Stato-etico, come qualcuno ha contestato a proposito della possibile tassazione delle merendine, ma di interventi raccomandati dall’intera comunità scientifica internazionale.
Il rischio contrabbando
A tutto ciò si sommerebbero i vantaggi di salute e di riduzione dei costi sociosanitari che derivano dal tabagismo. Nel nostro Paese il prezzo attuale di un pacchetto di sigarette standardizzato per prodotto interno lordo pro-capite è molto più basso che in altri paesi europei: lo stesso pacchetto che in Italia costa 5 €, ne costa 5,70 in Turchia e Romania, 6,30 in Francia, e addirittura 8,70 nella vicina Inghilterra. Sussistono quindi ampi spazi per aumenti di prezzi. Se poi la preoccupazione fosse la ripresa del contrabbando, anche questo argomento è stato ampiamente smontato sia dalla stessa OMS che dalla Banca Mondiale. Una importante indagine condotta nel 2010 su 18 Paesi europei ha infatti documentato come il prezzo delle sigarette non sia il fattore determinante del commercio illegale del tabacco in Europa.
Una tassa dedicata alla salute
Il vero punto chiave è invece di natura geografica: la minore o maggiore vicinanza a Russia, Ucraina, Moldavia e Bielorussia, i maggiori produttori di sigarette contraffatte. Come ha scritto la biostatistica Alessandra Lugo, l’infelice presa (o non presa) di posizione sul tabacco dei governi di tutto il mondo, è certamente in parte legata ai ritorni economici, basti considerare che nell’Unione Europea già oggi il 75% circa del prezzo di un pacchetto di sigarette è rappresentato da imposte, un conflitto di interessi che una tassa interamente dedicata alla salute potrebbe in parte aiutare se non a risolvere almeno a rendere più accettabile. Destinare parte di questi fondi alla prevenzione respiratoria, oncologica e cardiovascolare, a partire dai centri antifumo ma non solo, sarebbe un segnale forte in un Paese che conta oltre 12 milioni di fumatori e dove gli effetti della antesignana legge Sirchia vanno sempre più diluendosi nel tempo.