testo di
Sergio Harari
Nello tsunami virale che ha travolto le nostre vite e la nostra sanità, ogni tanto riesco ancora a trovare il tempo per fantasticare sul dopo. Pensare a ruota libera è un esercizio che aiuta la mente a staccare. Allora immagino le cose belle che accadranno, gli affetti con i quali mi ricongiungerò, gli amici che finalmente rivedrò, la spensieratezza che tornerà. Cerco di illudermi che faremo tesoro di questa esperienza, che non ricadremo negli stessi comportamenti e nelle stesse modalità di relazione come se nulla fosse accaduto. Che sapremo apprezzare la vita nella sua quotidianità, fatta di piccole, grandi cose straordinarie. Mi chiedo anche come cambierà il nostro rapporto con i pazienti, come muterà la comunicazione con i parenti, oggi ridotta a asettiche telefonate senza contatti fisici o visivi.
Abbiamo studiato per decenni come umanizzare gli ospedali e ora la disumanità di un virus ha cambiato tutto. Eppure in questa spersonalizzazione si percepisce, malgrado tutto, una relazione di cura fortissima. Anche questa ghettizzazione a domicilio, che ci impedisce contatti umani diretti, ma sviluppa relazioni telefoniche e via social, ci riporta a una dimensione familiare e personale, che ha un suo valore. Quando tutto sarà finito, e quel giorno verrà, lo sento quasi fisicamente quando sogno, ci sarà molto da riflettere e da imparare, prima che i nostri cuori si riprendano da questa tempesta.